Il mare di Taureana

Dal monte Sant'Elia (ca. 600 m s.l.m.) alle cui spalle si stendono i Piani della Corona, unitamente alla vista dell'odierno abitato di Palmi, si domina il paesaggio litoraneo sottostante: coste scoscese a picco sul mare; l'insenatura della Marinella, un tempo caratteristico borgo di pescatori; calette raggiungibili solo con le imbarcazioni, un fondale prevalentemente roccioso, tranne il tratto pianeggiante e sabbioso, in parte di formazione recente, sottostante il pianoro di Taureana, che si estende fino al confine con il Petrace.
Queste le caratteristiche del litorale dell'odierna Palmi da dove, per chi giunge dal nord della Calabria, è visibile l'imbocco dell'area dello Stretto dove spirava tra gli altri, il Maestrale, ricordato con il nome di Kataporthmias o vento dello Stretto.

"La Brettia e la Sicilia formano infatti lo Stretto... Chiama dunque Stretto il mare intermedio fra l'Italia e al Sicilia."
(Scholia ad Dionysium Periegetem, 80)

L'area dello Stretto che, come l'intera regione, per la sua particolare posizione geografica nel Mediterraneo, è stata interessata maggiormente di altri territori, nel corso dei millenni, dalle rotte che gli antichi affrontavano su navi relativamente piccole e senza strumentazioni di bordo che li potessero aiutare nell'orientamento, basandosi soltanto sulla posizione delle stelle e del sole.
I marinai, nel seguire le rotte, erano fortemente condizionati dalle correnti e dal regime dei venti, poiché le antiche imbarcazioni non stringevano il vento e potevano utilizzare solo le andature di poppa.
La geomorfologia delle aree costiere dello Stretto, che nel tempo, ha subito consistenti modifiche testimoniate anche dalle descrizioni dei Portolani, offriva ai naviganti ripari naturali in caso di necessità e la possibilità di creare veri e propri porti finalizzati a sistematici scambi commerciali.
Testimonianze delle rotte marittime e degli scambi commerciali effettuati nei secoli, prevalentemente via mare, sono i rinvenimenti sui fondali di anfore da trasporto per i generi alimentari, vasellame, ceppi e marre di ancore di varie tipologie, pesi e bilance, lingotti di metallo, carichi di marmi, opere d'arte. Molto raramente, data la loro deperibilità, resta traccia di generi di lusso – quali tappeti, vesti, papiri, stoffe ed ingredienti gastronomici – il cui commercio è attestato dalle fonti.
Tra i materiali che documentano la vita dei marinai a bordo: gli ami da pesca, le lucerne, il vasellame di uso quotidiano, tra cui i mortai o gli skyphoi, gli oggetti dell'armamento di bordo ed attrezzi da carpenteria per riparare lo scafo in caso di necessità.
Si deve a casi particolarmente fortunati, ma non troppo frequenti, il rinvenimento di scafi lignei con il loro carico ancora in situ nella stiva, sulla base del quale è stato spesso possibile agli archeologi ricostruirne la rotta seguita durante il viaggio. Tali tipi di rinvenimenti sono favoriti da fattori quali le modalità di affondamento, la buona conservazione dello scafo stesso per la presenza di fondali sabbiosi, un carico con merci non deperibili che ricoprendolo, ne costituiscono una sorta di protezione.
Anche lungo il litorale di Palmi ricordato dalla tradizione letteraria locale per la presenza dello Scoglio dell'Ulivo, i pescatori ed i subacquei hanno rinvenuto negli anni, tra le reti o sui fondali a diversa profondità, oggetti perduti durante le manovre o scaricati come zavorra dai marinai greci e romani che con le loro navi solcavano quel mare.


Ceppi di ancore in pietra (VII-IV secolo a. C.), ceppi e contromarre in piombo (III-II secolo a. C. fino ad età imperiale) documentano, tra l'altro, l'evoluzione della marineria antica con l'impiego dei metalli nella realizzazione del corredo di bordo necessario alla navigazione; colli ed orli di anfore greche, corinzie, greco-italiche e rodie caratterizzate dal tipico bollo con la rosa, anforette di media capacità di età bizantina, anfore vinarie di età ellenistico-romana dette anfore Dressel 2-4 dal nome del numismatico ed epigrafista tedesco che per primo, studiò tale classe di reperti.


Suscita emozioni il rinvenimento di oggetti legati a particolari momenti della vita dell'uomo antico: ne può essere un esempio significativo, il recente recupero di un elmo bronzeo corinzio, di età greco-arcaica, nelle acque antistanti località Pietrenere di Palmi.

"Poi Ippone, che ora si chiama Vibo Valentia; il porto di Ercole, il fiume Metauro, la città di Tauroento, il porto di Oreste e Medma"
(Plinio, N. H., III, 73)

Portus Orestis è il nome mitico del porto di Palmi per il quale, negli anni, sono state diverse le proposte di ubicazione; il nome di Oreste è legato alla tradizione letteraria secondo cui la sua purificazione era avvenuta proprio in questo territorio.

Allo stato attuale della ricerca, l'ipotesi più accreditata è che il bacino del porto si potesse trovare a sud di contrada La Scala, in un tratto del litorale – di formazione antica ed oggi occupato in gran parte da edificazioni moderne – dove la lettura della cartografia aerea degli anni '50, ha evidenziato una lingua sabbiosa naturale che poteva fungere da riparo agli scafi nel caso soffiassero i venti sia da sud che da ovest. E tale approdo naturale in età romana, avrebbe potuto trasformarsi, con adeguate opere murarie, in un vero e proprio bacino portuale attrezzato con moli.

Un porto che naturalmente, fu un elemento estremamente importante per la sopravvivenza della città in età imperiale e tardo-antica e che la tradizione letteraria ricorda attivo anche nei secoli successivi fino al XVIII, così come ricorda lo stesso De Salvo precisando che “...poiché l'interrimento sempre più avanzatesi...” fu soppiantato da quello di Gioia Tauro, per volere del Vicario generale di Calabria “...avendovi fabbricato il primo magazzino di deposito, per il commercio dell'olio”.